Nel dibattito bioetico manca il realismo e ciò aumenta la probabilità del biocaos

 

Di Carlo Pelanda (22-4-2005)

 

I think tank che osservano a livello globale gli andamenti della rivoluzione tecnologica stanno valutando due insiemi di dati, l’uno rassicurante, l’altro inquietante. Il primo riguarda il fenomeno delle demonizzazioni contro le biotecnologie. I rilevamenti alla fine degli anni ’90 indicavano che circa l’80% della popolazione nei paesi sviluppati riteneva pericolosi gli organismi vegetali geneticamente modificati. Solo negli Stati Uniti questa percentuale scendeva sotto il 50%. Ora si nota una tendenza che sta portando i biospaventati attorno al 15%, in Italia un po’ di più. I motivi di questa rapida  inversione di trend paiono tre: (a) si è attenuata la campagna comunicativa demonizzante; (b) nessuno dei disastri annunciati dai demonizzatori si è verificato; (c) le popolazioni si stanno abituando all’idea che sia normale modificare geneticamente le piante e cominciano a valutare positivamente i vantaggi nel farlo, ecologici, qualitativi ed economici. Tali dati, ed altri simili in materie più eticamente delicate, sono stati riportati entro un primo – ancora grezzo – modello che tenta di simulare e prevedere il conflitto tra tecnica e morale. Una prima proiezione fa ipotizzare che la seconda si adatti ai progressi della prima con un certo ritardo, ma non enorme, alla condizione che la prima dimostri di essere positiva e non generativa di catastrofi. Ma l’altro insieme di dati registra un aumento della probabilità che una qualche catastrofe biotecnologia possa avvenire, non nel dominio vegetale, ma in quello della biogenetica umana. Si osserva, infatti, che sempre più cittadini dei paesi ad alto bioproibizionismo cercano e trovano in quelli meno regolati risorse di salvazione o riproduzione. Il trasferimento di questo dato al simulatore ha fornito uno scenario preoccupante. Sta crescendo a picco la domanda sociale di bioservizi in tre settori: estetica, terapie e riproduzione. Molti paesi potrebbero essere tentati di intercettarla ammettendo una piena bioanarchia. In alcuni di questi potrebbero trovare laboratorio scienziati pazzi che ne combinerebbero di tutti i colori accendendo una controreazione demonizzante totale che ucciderebbe la rivoluzione tecnologica. Soluzioni? L’unica è quella di costruire un tecnodiritto globale che regoli in modo bilanciato bioricerca e sue applicazioni in modo tale che nulla prodotto dai laboratori possa uscire da essi senza garanzie. Ma sarà difficile perché al momento la materia è trattata in termini di grandi astrazioni pro o contro e non realisticamente. Pertanto ci si prepari, dopo il 2010, alla maggiore probabilità di un biocaos globale.

Carlo Pelanda